sabato, settembre 30, 2006

Aria & Acqua

Vorrei vedere il silenzio.

Abbracciare lucido e tondo

una pagina che non ha più bisogno

di essere riempita.

Vorrei scaldare quel silenzio.

Con la sciarpa bucata dai morsi,

con gli angoli persi di ciò che mi veste.

Col bagliore assorbente di ciò

di cui vorrei spogliarti.

Vorrei non vedere il dolore colarti dalle dita,

incastrarsi tra i tasti,

disegnando forme morbide sulla carta.

Non vederti accarezzarle

infelicemente compiaciuta

della loro perfezione.

Vorrei toccare il suono

liquido delle tue lacrime;

ancora abbaglianti e sinuose

ma non più immobili.

Scivolarti nel palmo

ricolmo di troppe conchiglie

per non perderti nelle loro pieghe.

Vorrei toccare quei cristalli

chi ti ostini a chiamare ghiaccio

affinché tu potessi sentire

le mie mani ancora calde.

Vorrei tu potessi essermi accanto

per sorridere delle onde

che giocano con i tuoi contorni

sul confine dell'acqua

ogni volta che tenti di annegare.

Vorrei poterti dare ancora

il peso effimero del sogno

per riscoprire che il volo

affatica più della caduta

ma bacia gli angoli della bocca

fino a farti sorridere.

Posso solo questo invece.

Abbracciando in quel sorriso

ogni onda,

fino ad una sponda

che non c'è.


Peter Pan

giovedì, settembre 28, 2006

Stadere e Pratike


Impieghiamo anni scegliendo parsimoniosamente piatti e tara.

Ungiamo i mekkanismi, kontrolliamo le giunture.

Spesso finiamo persino nel perderci in pratike maniakali lucidandone i pesi.


Eppure il bilanciare non è un'arte ma una kondanna.


La necessità di komprendere la misura finisce per essere la prima deriva razionale.

Pesare diventa il -sakro rito- della komprensione.

Non voglio farne parte.

Avere un peso signifika non sedersi su quella maledetta stadera.

Tornio Subito

Il Poeta Operaio

Gridano al poeta:

"Davanti a un tornio ti vorremmo vedere!

Cosa sono i versi?

Parole inutili!

Certo che per lavorare fai il sordo"

A noi,

forse,

il lavoro

più d'ogni altra occupazione sta a cuore.

Sono anch'io una fabbrica.

E se mi mancano le ciminiere,

forse,

senza di esse, ci vuole ancora più coraggio.

Lo so:

voi non amate le frasi oziose.

Quando tagliate del legno, è per farne dei ciocchi.

E noi,

non siamo forse degli ebanisti?

Il legno delle teste dure noi tagliamo.

Certo,

la pesca è cosa rispettabile.

Tirare le reti,

e nelle reti storioni forse!

Ma il lavoro del poeta non è da meno:

è pesca d'uomini, non di pesci.

Fatica enorme è bruciare gli altiforni,

temprare i metalli sibilanti.

Ma chi

oserà chiamarci pigri?

Noi limiamo i cervelli con la nostra lingua affilata.

Chi è superiore: il poeta

o il tecnico

che porta

gli uomini a vantaggi pratici?

Sono uguali.

I cuori sono anche motori.

L'anima è un'abile forza motrice.

Siamo uguali.

Compagni d'una massa operaia.

Proletari di corpo e di spirito.

Soltanto uniti

abbelliremo l'universo,

l'avvieremo a tempo di marcia.

Contro la marea di parole innalziamo una diga.

All'opera!

Al lavoro nuovo e vivo!

E gli oziosi oratori,

al mulino!

Ai mugnai!

Che l'acqua dei loro discorsi faccia girare le macine.


Vladimir Majakovskij

mercoledì, settembre 27, 2006

Peter Pan 3



Concrete Jungle

"Oggi sulla mia giornata non splenderà il sole
La gialla luna piena non uscirà a fare la sua parte
Ho detto che l'oscurità ha oscurato la mia luce

E la mia giornata è divenuta notte

Dove si può trovare l'amore

Qualcuno me lo dirà?

Poiché la vita deve essere altrove

E non in una giungla d'asfalto

Dove vivere è più difficile
Giungla d'asfalto
Uomo, devi fare del tuo meglio

Non ho catene alle caviglie
Ma non sono libero
So di essere tenuto in cattività

Sì - non ho mai conosciuto la felicità

Non ho mai saputo cosa sia la tenerezza




Malgrado tutto - riderò sempre

Come un clown

Nessuno mi aiuterà perché

Devo risollevarmi da solo

Dal terreno

In questa giungla d'asfalto

Ho detto, ora cos'altro hai in serbo per me?

Ah, giungla d'asfalto, ora mi lascerai vivere?"


Bob Marley

Peterpan 2


Mi hanno kiesto: -Ami la tua vita?-

-Non amo la mia vita. Amo quello ke intendo farne-

Talvolta vivere signifika soltanto

rendere il Presente

il primo istante del

Futuro.

martedì, settembre 26, 2006

Peter Pan



Senza Parole

Goccia


Intermittenze

Coincidenze

Tempo.


Attimo per Attimo,

Attimo al quadrato.


Uno solo. Quello giusto.

In cerka dell'-Onda Perfetta-.

giovedì, settembre 21, 2006

mercoledì, settembre 20, 2006

Visionariando

La pentola del ‘77

Quando fu la prima volta che mi misero alla tavola imbandita dell'educazione non lo ricordo. Probabilmente saranno ormai passati venticinque anni. Allora non riuscivo ancora a scalare autonomamente la sedia che ammetteva al -pasto del sapere- e probabilmente ancora oggi, a volte, necessito di una spintarella affettuosa. Ricordo tuttavia perfettamente il bianco candido della tovaglia -sociale-, l'ordine rigoroso della disposizione delle posate chiamate grammatica, ubbidienza, correttezza e sincerità. Solide e pesanti contornavano piatti impeccabili e senza sbocconcellature. Credo volessero convincermi che quelli erano gli unici contenitori possibili ed ammissibili per potervi versare il pasto della conoscenza. Stoviglie ordinate anch'esse, dai nomi -piatti- e impersonali: materne, elementari, superiori, università. Solo molto più tardi conobbi modi più affascinanti per dedicarsi al pasto ma mai mi sono appartenuti e probabilmente (e sfortunatamente) mai mi apparterranno; questa comunque è un'altra storia.

Rimasi per diversi anni annoiatamente seduto al medesimo tavolo, con la medesima apparecchiatura. Mangiando medesimi pasti; magari di volta in volta dalle porzioni più generose ma comunque medesimi.

Tra le cose che ricordo ha un posto particolare la prima disobbedienza nutrizionale. Fu nei modi più che nei contenuti. Dopo un decennio trascorso a guardare inerme ma soprattutto disinteressato i primi compagni di pasto incrociare tra se i denti delle forchette, roteare i bicchieri e sbattere i piatti nel clamore generale di insegnanti e genitori accorsi, iniziai a nutrire una curiosità morbosa per quei comportamenti che sembravano tanto destabilizzare l'ordine (e la quiete) costituito; non smisi di usare le vettovaglie ma mi sentii ben presto più libero nelle evoluzioni delle posate, nel tintinnio del vetro e dei cocci.

Giunse l'adolescenza. Il disadattamento al galateo educativo apriva nuove falle e non furono più soltanto i mezzi ad iniziare ad annoiare. Credo che fu per noia infatti che chiesi per la prima volta perchè di giorno in giorno, mese in mese, anno in anno il menù non cambiava.

Senza variazione alcuna, meccanica e sistematica, addobbavano la tavola sempre i medesimi cibi. L'insegnante-cameriere non credo rispose mai e se lo fece accadde troppo lontano dalle mie orecchie poiché io potessi sentirlo.

Il sacro rito educativo andava esplicato secondo convenzioni prestabilite e non incontrai nessun caposala, sommelier, inserviente, lavapiatti disposto a contravvenire alle regole.

Ero stanco. Satollo all'inverosimile di pietanze perfette e bilanciate, insipide e ipoallergiche. Storie sentite e ripetute troppe volte per conservare fascino, ammesso che inizialmente ne avessero uno.

Canoniche e senza variabili in ogni racconto.

La mia educazione è stata quella. Decisamente. Bilanciata, insipida e ipoallergica. Perfetta certamente No. Non era altro che la solita, medesima, identica educazione comune al resto dei miei compagni. Praticamente senza eccezione alcuna.

Avevo fame ed ero curioso. Lo sono ancora curioso in effetti e mentre sto scrivendo ho decisamente fame.

Stanco del salutismo, curioso e affamato. Probabilmente fu in quel momento e in quella situazione che vidi per la prima volta quella pentola.

Quelle che avevo mangiate fino ad allora non erano le uniche pietanze esistenti e mi era capitato sempre più assiduamente di vedere guizzare tra i tavoli i resti di cibi sconosciuti. Tali sarebbero restati ancora per un poco vista l’attenzione e la meticolosità che i miei educatori mettevano nel pulire le stoviglie inquisite, cancellare tracce ed aloni, dissolvere gli odori. Certi pasti venivano semplicemente dichiarati mai esistiti.

Ai più dei miei compagni questo fu sufficiente per far dimenticare in fretta brevi lampi gastronomici fuori dieta. Ancora oggi, trentenni e rampanti, non hanno cambiato abitudini e sostengono che qualsiasi sistema nutrizionale diverso da quello con cui sono cresciuti alteri il loro sistema e con esso la salute.

La mia salute mentale invece chiedeva a gran voce novità. E il fatto che questa richiesta di novità coincidesse speso con la –verità taciuta- fu una scoperta di molto dopo. Fu ancora per curiosità che, tra tutte le portate di cui di giorno in giorno venivo a conoscenza, quella pentola nera dal fuoco trentennale e ancora borbottante per il pigro bollire divenne un vero oggetto misterioso.

Avevo ormai imparato a rispettare chi mangiava con le mani, non augurava il buon appetito e non chiedeva se qualcuno volesse finire l’ultimo bis. In realtà non sono passati che pochi anni e questo passato remoto forse è solo il frutto di chi si ferma a guardarsi indietro senza riuscire a mettere a fuoco la distanza percorsa.

Avevo conosciuto una donna che solo per errore era finita costretta nella divisa della mensa culturale o che forse, con quegli abiti indosso, tentava di cambiare le regole. Non ha rilevanza questo.

Fu lei tuttavia la prima persona che portò in tavola la pentola. Nei vestiti morbidi di chi aveva mancato la preparazione della pietanza solo di qualche mese, appoggiò la pentola al centro della tavola e lasciò che rimanessimo affascinati dal coperchio che a cadenze irregolari sbatteva sempre più lentamente e quasi tintinnando sul bordo superiore.

Passò molto tempo prima che sapessi distaccarne gli occhi e mi domandassi infine cosa ci fosse e perché fosse stata tenuta così lontana da tutti noi per tutti questi anni.

Erano stati proprio i camerieri più cordiali e intimi, vecchi saggi bordati di rosso, a desiderarne di più l’accantonamento; ed era comunque per un certo verso innaturale coltivare quella morbosa attenzione per la pentola. Non tanto un contravvenire alle regole quanto un contravvenire alle persone che avevano voluto nascondere.

La pentola adesso è in tavola. La tavola è incorniciata dai commensali. I commensali adesso si guardano, oltre che guardare la pentola. E so che guardarci dentro non è uno sfogo primordiale della curiosità. Diventa necessità.

La pentola del settantasette è in tavola. Il saper guardare solo i resti incrostati della pietanza bruciata è passato.

La pietanza affascina e sono stanco di ostacoli. Non siamo alla ricerca di ricette perfette ma di esperienze. Senza dimenticare gli errori con cui la pentola si è scottata. Senza dimenticarne i contenuti: riappropriazione di spazio e tempo.

Intuizioni da non poter perdere, da coltivare nuovamente, riscoprirei, rielaborare e con cui imbandire nuovamente. Intuizioni chiamate rifiuto del lavoro, occupazione, controinformazione e con centinaia di altri nomi.

Servono cuochi. Servono ingredienti. E servono commensali.

Nessun cameriere, nessuna posata, nessun galateo.

Non sarò certo io ad apparecchiare ma ho fame. E sono curioso.

Ora di cena.

venerdì, settembre 15, 2006

Sara un kaso.

E' morta la Fallaci.

Kiamarlo -Destino- è troppo.

Kiamarla -Koincidenza- poko.

Almeno -Botta di Kulo-

mercoledì, settembre 13, 2006



Adoro gli enigmisti.

Sanno spendere su un interrogativo più tempo di qualsiasi altra persona.

Siete enigmisti?

Avete mai pensando all'enigma della guerra?

O amate troppo il Sudoku?


martedì, settembre 12, 2006


Se muori imbracciando un fucile per difendere interessi ekonomici in paese di guerra sei un eroe.

Quando muori lontano da kasa sei un italiano.

Dove muori e come muori a volte danno onore.



Se muori sul lavoro, da prekario, sei sfortunato.

Quando muori per avere una kasa sei messo male.

Dove e come muori diventano dettagli.


La Morte Bianka non ha voce. Ma possiamo askoltarla.