lunedì, novembre 24, 2008

Oceano

"Quanti cavalli hai
tu seduto alla porta
tu che sfiori il cielo
col tuo dito più corto
la notte non ha bisogno
la notte fa benissimo
a meno del tuo concerto
ti offenderesti se qualcuno
ti chiamasse un tentativo

Ed arrivò un bambino
con le mani in tasca
ed un oceano verde
dietro le spalle
disse "Vorrei sapere
quanto è grande il verde
come è bello il mare,
quanto dura una stanza,
è troppo tempo che guardo il sole,
mi ha fatto male"

Prova a lasciare le campane
al loro cerchio di rondini
e non ficcare il naso
negli affari miei
e non venirmi a dire
"Preferisco un poeta,
preferisco un poeta
ad un poeta sconfitto"
Ma se ci tieni tanto
puoi baciarmi ogni volta che vuoi."

Faber

lunedì, novembre 17, 2008

Nothing Else Matter


Sarò Mare,

perkè nient'altro potrei.

Kiamerò le korrenti
per i nomi ke non hanno avuto
ed
i koralli mi verranno in dono,
rilucendo degl'abissi

ke per loro ho kreato,
ho kustodito, lontano.

Gli skogli per me si faranno rullanti
ed i gabbiani kiarine;
forgerò stelle marine e sonagli,
i delfini saranno aquiloni
e la mia rabbia tempesta.

Mi inebrerierò della skiuma,

ke kredetti pianto,
konfessando i miei demoni
nel fondo d'una konkiglia;

parlerò in sogno alle stelle
che rifletteranno
me
ed io loro.
Sarò movimento

perkè nient'altro posso

e nient'altro sono.
Kiederò ai pesci

dello skrosciare del destino,
nelle loro squame
leggerò
gl'inversi gravitazionali.
Giokando koi venti
fratumerò kalici di sale;

brinderò alla terra,
ke per me fu
tumulo
e tumulto,
kiedendo d'esser abbraccio.
Dormirò nel ventre di me stesso
kullando vulkani e ghiaccio.
Smetterò di temermi.

Sarò Acqua,
Fondale
e Onda:
perkè nient'altro sono
e
nient'altro voglio.

domenica, novembre 16, 2008

"... a boat longing for the sea"

A Cèsar Calvo Ringraziandolo di Essere Qui

"In principio l’uomo abbandonava i suoi morti.
Cinquantamila anni fa cominciò a scavare tombe.
Sulla pelle delle caverne incise i suoi timori bellissimi:
scoprì la poesia.

Per questo siamo qui,
a disperdere parole contro il cielo indifferente.
Cecilia, mia figlia, gioca coi suoi anni:
quattro ciottoli colorati.
La vita scorre tanto in fretta, César, che una sera
la guarderemo uscire verso il parco
e rientrare bellissima donna.

È così, César, la vita fugge tanto in fretta
che uno di questi giorni dovremmo cercare di dire la verità.
Per favore, che trovata.
Il maggiordomo ha ordini precisi
di chiudere la porta al passato!

Perché giovani aurei,
alla macchia dell’orrore d’America combattevano allora
per un mondo più bello.
Mortalmente feriti cadevano
più che per la mitraglia piagati dai loro sogni.
Belli, nascevano alla morte.
Mentre noi tatuavamo poesie dimenticate
su corpi dimenticati di donne dimenticate.
In balere di terza categoria cauterizzavamo la nostra malinconia
bevendo acquardente che non era Acqua Ardente.

Lenin non apprezzava i poeti:
tagliò grossolanamente una poesia di Majakovskij.
Vladimir Majakovskij si uccise.
Però Lenin si sbagliava: il Che portava nel suo zaino
versi crivellati di León Felipe
e Javier Heraud portava una tua lettera nella sua giacca.
L’impietoso fiume Madre de Dios trascinò il suo corpo,
il tuo corpo, il mio corpo, la nostra giovinezza crivellata, tutto.
Però la vita fluisce più in fretta del fiume Madre de Dios.
Impossibile erigere un mondo nuovo
senza sbarcare nelle Indie intraviste nei nostri sogni!
Una rivoluzione che è solo una rivoluzione non è una
rivoluzione.
Bisogna rovesciare tutto, bisogna bruciare tutto, bisogna sradicare tutto!
Non permettere che ritorni mai più la stessa realtà,
la stessa famiglia, la stessa acqua, gli stessi genitori, la stessa
luce, la stessa patria, lo stesso futuro, la stessa tristezza, la
stessa religione, lo stesso sole!
Chi si azzarderebbe ad assolverci?
Un’immortale poesia ci assolverebbe.
Però gli anni sono passati e non abbiamo menzionato la Parola Ignea.

La vita è tanto fugace, César, che una di queste sere
uscirai a comprare sigarette
e tornerai a raccontare barzellette alle nostre veglie funebri.
E adesso accetto l’acquavite che mi offri.
Perché malgrado la tristezza, la vita vale la pena:
sono allegro, sono albero, sono su di giri, sono
con i miei amici, sono lampo, sono luce.
Perché l’uomo che è più vicino alla sua morte
che alla sua nascita
ha bisogno urgente di essere felice.

Cinquantamila anni fa, sulla pelle delle caverne,
cominciai a incidere questa poesia.
Per questo sono qui che disperdo parole contro il cielo
indifferente."

Manuel Scorza

venerdì, novembre 14, 2008

Stregat(t)o dal Tempo


Ho sempre trovato qualkosa d'affascinante nella Stanza dello Spirito e del Tempo. "All'interno della Stanza il tempo è estremamente rallentato: un anno terrestre all'interno corrisponde ad un solo giorno terrestre all'esterno" si sostiene. Non so, la quantifikazione non mi è mai risultata una pratika naturale e men ke meno koncepibile ma resta la sensazione di dilatazione, di inkontrovertibile percezione mistifikata del Tempo. Quando da pikkolo ho inkocciato il frainteso del tempo ke vola, dell'attesa ke allunga i minuti, finivo per applikare la nozionistika matematika a mankate intuizioni. Si sa, le menti dei bambini son ingranaggi strani dove gl'appigli materiali finiskono per essere spesso ankore mai di salvataggio ma semmai appese al kollo, ke trascinano nei baratri del -un giorno kapirai- dati di fatto rimandati a date da destinarsi. Kosì son passati gl'anni, ke di certo non son stati giorni, vuoi per posizioni mentali skomode o per beffe del destino, ma pur sempre fatti troppo spesso di giorni intramontabili, non tanto per memorabili akkadimenti quanto per pedissequi fraintendimenti. Il Tempo, kollimando spesso in dinamike di skontro kon lo Spirito, ha assunto un ruolo marginale deteriorando nel detestato, testato a suon di buki di memoria voluti, labilmente cerkati, stupefacentemente skanditi, in prima sintesi akkaduti. Skopri kosì d'esserti perso il traskorso essendone stato primo spettatore, kome di fronte a quei poki film in kui soprassiedi la trama per koinvolgimento emotivo, vivendo in prima persona l'evento tanto da assimilarlo, elaborarlo e dimentikarlo al kontempo. Non poke volte avrei voluto essere il narratore, mai onniscente, dei miei akkadimenti. La voce fuori kampo, fuori tempo, kapace di sagomare i ritmi narrativi appunto, giokando koi flashback senza intakkarli kol sapore acido del rikordo, pastello solo per ineludibile kondizione umana. E ti trovi varkato varkante la soglia dei 30anni. Ovviamente la logika vorrebbe ke l'immersione in questo triplice decennale avesse donato osmotikamente una kognizione assuefatta del Tempo, una presa di koscienza, se non metafisika, quantomeno d'esperienza. Ma la logika non è di questa testa, ne di questo Spirito, ke evade le Stanze di kui rifiuta notoriamente i muri, disegna porte kon le dita, inarka le volte del cielo.
E allora akkade ke l'Adesso perda la sua dimensione di -Ora-. Ke la konvenzione vada in frantumi nel piacere dell'imponderato e imponderabile, nel rifiuto della spiegazione, nella fuga dalle fughe pianifikate perkè inevitabili. Il desiderio di assekondare, nell'abbandono senza kautela, ke diventa solitudine persa per inversi.
No, certe kose non sono senza Tempo ma ne sono al di fuori. Sussurrando al Silenzio -Sarà e non potrebbe non Essere-. Sig.na Elezione.

lunedì, novembre 10, 2008

Ospiti&Sekondini

L'ospite ospitante dovrebbe ospitare l'ospite ospitato in maniera ospitale. D'altra parte l'ospite ospitato dovrebbe saper rispettare l'ospitalità dell'ospite ospitante senza approfittarne. Gli equilibri son kose sottili a kui certamente non giovano le komplikanze linguistike di sovrapposizioni da dover kiarire kon aggettivi qualifikanti; ne tanto meno traggono konforto dalla mankata trasparenza dei rispettivi rapporti e ruoli rivestiti, qualora uno dei due mankasse della kapacità di individuarne il proprio specifiko. Diko questo perkè sono un poko stanko di dover metter la gente all'uscio, ke sia fisiko o mentale, eludendo quello emotivo perkè ki ha l'elezione di affacciarsi su quella soglia, non grava del peso della sopportazione. Novembre è un mese oggettivamente komplesso, il kambio d'ora fagocita nel prossimo l'entusiasmo già smorzato dall'agonia della stagione di luce. Riposta nel serrato delle mura domestike l'ankora una volta delusa aspettativa per una serena vita sociale, kui kantar paturnike nenie di tormentoni estivi a riskaldarne il letargo con pannicelli di nostalgia, pare ke l'essere umano non rieska ad evadere la "necessaria" komplicità di kondivisione di un'infelicità ke pare adesso ineludibile. Ovviamente però la rielaborazione della komplessità stagionale non prende in me medesime forme e mi trovo talvolta non tanto a disagio, quanto semmai volutamente impreparato, ad apparekkiare il tavolo della reciproka kommiserazione. La mia involuta arroganza dipinge demoni astratti, dalla forme ammalianti per i più, debordanti per quanto mi riguarda, ma pur sempre tali. E quest'ultimi pare non vogliano saperne di dekantare infusi per bestioline ammaestrate, genuine e ingenue al kontempo, ke sembra non sappiano kogliere il riskio emotivo di sbottonare skollature konfessionali improbabili ke finiskono per essere obbiettivi sensibili per la mia atarassika mankanza di pietismo. Akkade kosì ke a tutela delle loro giugulari e dei miei sospetti e latenti, possibili ma improbabili, sensi di kolpa, mi veda kostretto ad indikare, senza proferir parola, la via d'uscita. Movenze più da mimo ke da steward in effetti, dove la segnaletika oskura piuttosto ke illuminante e illuminata, disegna korridoi verso la fuga o la kacciata. Trovandomi in diffikoltà ad usare quest'ultimo termine, kausa deprekabili retaggi biblici ke suggeriskono ke tale scelta lessikale si konfaccia più ad un -moto da luogo- paradisiako, fingo ke la mia sia semplicemente un'indikazione di direzione salvifika. Gli ospiti ospitati sembrano rasserenati e l'ospite ospitante libero. Questo espediente, tuttavia, finisce evidentemente per essere un mero palliativo se finisko a vomitarmi addosso questa repressa mankanza di kiarezza. Non so se sia disillusione nell'adattarmi alle dimensioni umane, alieno per origine od alienato per sociologia. Ciò ke resta, kon poke righe a probante teste, è ke c'è qualkosa ke konvenzionalmente non va nella mia testa. Non avessi un ego spropositato a sorreggere le mie folli teorie circa la sensibilità giurerei ke siano i più ad esser -normali-.

"Candidamente ammetto che questa razza è strana,
molto
strana, di nuova foggia.
Eppure è sempre l'antica umana razza,
la stessa, dentro e fuori, facce e cuori gli stessi,
gli stessi sono affetti e desideri.
Lo stesso antico amore, e la bellezza,
e il modo di usarne."

Walt Withman

venerdì, novembre 07, 2008

Dono d'Ermes


Ki krede ke il Kaos non necessiti di kure attente è un millantatore. Un impostore in prima istanza, un opportunista del kamuffamento nonkè un traditore dei propri inkubi. M'aggiravo per le stanze della mia mente qualke giorno fa, kredendo di trovarle impekkabilmente in disordine, dinamikamente lustrate a nero, fragorosamente silenziose. Il riflesso delle abitudini devia lo sguardo, rende i riflessi del konosciuto una kartina di tornasole per l'essenza delle kose dove buio e splendore si sovrappongono nella beffa della vista. Ho speso tempo distratto nonkè parti determinanti delle mie retine a tentare di fissare il sole per poi giokare kon le scie di cecità nel cielo, manipolando lo spostamento del -buko di luce- kosì kreatosi, tramontando il sole difronte all'orizzonte, skardinando la konvenzione delle sottoposizione alle linee dei monti. E kosì è finito per akkadermi kon il nero delle kose. Ovviamente soprassiederò sulla teknika autofilettante ke permette tutto questo, un konnubio di insano talento e kapace dedizione. Adesso mi dediko agli skompaginamenti del Novembre. Sapeste kapire vi sarei solidale.

-Work In Progress-

"Morire per delle idee, l'idea è affascinante
per poco io morivo senza averla mai avuta,
perchè chi ce l'aveva, una folla di gente,
gridando "viva la morte" proprio addosso mi è caduta.

Mi avevano convinto e la mia musa insolente
abiurando i suoi errori, aderì alla loro fede
dicendomi peraltro in separata sede
moriamo per delle idee, va bè, ma di morte lenta, va bè
ma di morte lenta.

Approfittando di non essere fragilissimi di cuore
andiamo all'altro mondo bighellonando un poco
perchè forzando il passo succede che si muore
per delle idee che non han più corso il giorno dopo.

Ora se c'è una cosa amara, desolante
è quella di capire all'ultimo momento
che l'idea giusta era un'altra, un altro movimento
moriamo per delle idee, va bè, ma di morte lenta
ma di morte lenta.

Gli apostoli di turno che apprezzano il martirio
lo predicano spesso per novant'anni almeno.

Morire per delle idee sarà il caso di dirlo
è il loro scopo di vivere, non sanno farne a meno.

E sotto ogni bandiera li vediamo superare
il buon matusalemme nella longevità
per conto mio si dicono in tutta intimità
moriamo per delle idee, va bè, ma di morte lenta, va bè,
ma di morte lenta.

A chi va poi cercando verità meno fittizie
ogni tipo di setta offre moventi originali
e la scelta è imbarazzante per le vittime novizie
morire per delle idee è molto bello ma per quali.

E il vecchio che si porta già i fiori sulla tomba
vedendole venire dietro il grande stendardo
pensa "speriamo bene che arrivino in ritardo"
moriamo per delle idee, va bè, ma di morte lenta, va bè,
ma di morte lenta

E voi gli sputafuoco, e voi i nuovi santi
crepate pure per primi noi vi cediamo il passo
però per gentilezza lasciate vivere gli altri
la vita è grosso modo il loro unico lusso
tanto più che la carogna è già abbastanza attenta
non c'è nessun bisogno di reggerle la falce
basta con le garrote in nome della pace
moriamo per delle idee, va bè, ma di morte lenta,
ma di morte lenta."


F.D.A. (
Brassens)