-Diskostati- disse. Il gatto soppiantò le sue kredenze e si ritagliò uno spikkio di felicità.
Il sonno sporkava le labbra, il bollitore fiskiava appresso alle forme tonde del mattino.
-Avrebbe dovuto-. Kome le esortazioni ke squarciano il quieto vivere, iniziò a sentire la leggerezza opprimente della perifrastika. -Avrebbe dovuto-. Skoncia e impassibile, l'orda della prerogativa scendeva a spirale i gironi della tazza. -Avrebbe dovuto-. Ritmo sbarazzino e incessante , un rullante Rock-a-billy sui suoi improponibili propositi; ennesima biglia in discesa, ennesima insana stramaledizione della gravità.
Strinse i figli prediletti del sole in un abbraccio di karta e loro gli sorrisero.
Un cielo terso, gravido della stessa serenità ke finiva in becero kontraltare umorale, kontrosoffittava la sua stanza dei bottoni. -Avrebbe dovuto-. Il tono risoluto sbavò la tesa del kappellaio matto.
Kon la solennità del kondannato, kon l'impavida arroganza dello sventurato ke tenta di far d'una sentenza un'okkasione, skiacciò la soglia di kasa e strinse dita kolorate attorno al kalcio dell'ombrello. Il gattò si sentì padrone.
Spese i suoi passi nella devota attenzione dei partikolari, ripassando dettagliatamente i kontorni del suo piano. Innanzitutto non avrebbe dovuto kommettere errori durante lo spostamento. Asserragliato negli snodi del tempo distrikò gli intarsi del selciato. Non pestò neppure una riga, perkorso netto. Oltre 600 metri senza una sbavatura. Komplimentandosi kon se stesso, spingendosi buffetti komplici sul mento, si distrasse a sufficienza per skoprirsi davanti al suo destino.
La porta. -Avrebbe dovuto-. Immaginò queste parole incise su portali senza tempo, vide illustri korregionali avvitarsi su moniti infernali... Avrebbe dovuto.
Infilò l'entrata, ignorò i moniti d'ingresso, depistò il mutevole parko zoologiko ke ammassava, impudiko e riottoso, il tribunale di sentenza.
Sentiva un peso attanagliargli la bokka dello stomako; la netta presa di koscienza ke la konsequenzialità degli eventi fosse una beffa del Systema, il retrogusto amaro dell'evitabile, il rabbioso e gelido istinto della vendetta affogava adesso nell'immobilismo della legalità.
Strinse il kalcio dell'ombrello. Aggrappandovisi.
I sentenziati s'inerpikavano lungo il sentiero tortuoso, kordame, tra stormi d'inkoscienti, reietti e privilegiati della terza età. Li vedevi korrere a kapo kino fino alla soglia della vita, sottile kome una lastra di vetro antiproiettile, ekeggiante kome una kassa di risonanza, stretta kome il baffo di vento su kui s'annodano bankonote e monete.
Li kontò in giudizio. Uno, due, tre, sei. Sette. Sarebbe tokkato a lui.
7. Kome i pekkati kapitali. Kome i re di Roma o kome i suoi kolli. 7, kome i mari. 7 kome i chakra. Kome il numero di maglia di George Best. 7, kome le vite d'un gatto.
Il destino impikkato alla numerologia. -7-. Tokkava a lui. -Avrebbe dovuto-.
Sfidò lo sguardo oltre il parapetto trasparente. Non ebbe risposta.
Affiggendo le sue inquietudini alla vertikale di vetro, affliggendo i suoi desideri in nome del dovuto, tese ormai remissivo lo squarcio latrante di karta sotto la fessura ke rintokkava a sentenza.
Vacillò. Uno sguardo furtivo e komplice akkarezzo i bordi della kancelleria.
-La kapisko sa?-. Non ebbe kalore da quella solidarietà. -Sono 148 euro-.
La kondanna imposta, la sentenza eseguita. Il prezzo della velocità: una rinuncia al vano desiderio.
Il sonno sporkava le labbra, il bollitore fiskiava appresso alle forme tonde del mattino.
-Avrebbe dovuto-. Kome le esortazioni ke squarciano il quieto vivere, iniziò a sentire la leggerezza opprimente della perifrastika. -Avrebbe dovuto-. Skoncia e impassibile, l'orda della prerogativa scendeva a spirale i gironi della tazza. -Avrebbe dovuto-. Ritmo sbarazzino e incessante , un rullante Rock-a-billy sui suoi improponibili propositi; ennesima biglia in discesa, ennesima insana stramaledizione della gravità.
Strinse i figli prediletti del sole in un abbraccio di karta e loro gli sorrisero.
Un cielo terso, gravido della stessa serenità ke finiva in becero kontraltare umorale, kontrosoffittava la sua stanza dei bottoni. -Avrebbe dovuto-. Il tono risoluto sbavò la tesa del kappellaio matto.
Kon la solennità del kondannato, kon l'impavida arroganza dello sventurato ke tenta di far d'una sentenza un'okkasione, skiacciò la soglia di kasa e strinse dita kolorate attorno al kalcio dell'ombrello. Il gattò si sentì padrone.
Spese i suoi passi nella devota attenzione dei partikolari, ripassando dettagliatamente i kontorni del suo piano. Innanzitutto non avrebbe dovuto kommettere errori durante lo spostamento. Asserragliato negli snodi del tempo distrikò gli intarsi del selciato. Non pestò neppure una riga, perkorso netto. Oltre 600 metri senza una sbavatura. Komplimentandosi kon se stesso, spingendosi buffetti komplici sul mento, si distrasse a sufficienza per skoprirsi davanti al suo destino.
La porta. -Avrebbe dovuto-. Immaginò queste parole incise su portali senza tempo, vide illustri korregionali avvitarsi su moniti infernali... Avrebbe dovuto.
Infilò l'entrata, ignorò i moniti d'ingresso, depistò il mutevole parko zoologiko ke ammassava, impudiko e riottoso, il tribunale di sentenza.
Sentiva un peso attanagliargli la bokka dello stomako; la netta presa di koscienza ke la konsequenzialità degli eventi fosse una beffa del Systema, il retrogusto amaro dell'evitabile, il rabbioso e gelido istinto della vendetta affogava adesso nell'immobilismo della legalità.
Strinse il kalcio dell'ombrello. Aggrappandovisi.
I sentenziati s'inerpikavano lungo il sentiero tortuoso, kordame, tra stormi d'inkoscienti, reietti e privilegiati della terza età. Li vedevi korrere a kapo kino fino alla soglia della vita, sottile kome una lastra di vetro antiproiettile, ekeggiante kome una kassa di risonanza, stretta kome il baffo di vento su kui s'annodano bankonote e monete.
Li kontò in giudizio. Uno, due, tre, sei. Sette. Sarebbe tokkato a lui.
7. Kome i pekkati kapitali. Kome i re di Roma o kome i suoi kolli. 7, kome i mari. 7 kome i chakra. Kome il numero di maglia di George Best. 7, kome le vite d'un gatto.
Il destino impikkato alla numerologia. -7-. Tokkava a lui. -Avrebbe dovuto-.
Sfidò lo sguardo oltre il parapetto trasparente. Non ebbe risposta.
Affiggendo le sue inquietudini alla vertikale di vetro, affliggendo i suoi desideri in nome del dovuto, tese ormai remissivo lo squarcio latrante di karta sotto la fessura ke rintokkava a sentenza.
Vacillò. Uno sguardo furtivo e komplice akkarezzo i bordi della kancelleria.
-La kapisko sa?-. Non ebbe kalore da quella solidarietà. -Sono 148 euro-.
La kondanna imposta, la sentenza eseguita. Il prezzo della velocità: una rinuncia al vano desiderio.