
per kiedermi kosa stia facendo.
"Quanti cavalli hai
tu seduto alla porta
tu che sfiori il cielo
col tuo dito più corto
la notte non ha bisogno
la notte fa benissimo
a meno del tuo concerto
ti offenderesti se qualcuno
ti chiamasse un tentativo
Ed arrivò un bambino
con le mani in tasca
ed un oceano verde
dietro le spalle
disse "Vorrei sapere
quanto è grande il verde
come è bello il mare,
quanto dura una stanza,
è troppo tempo che guardo il sole,
mi ha fatto male"
Prova a lasciare le campane
al loro cerchio di rondini
e non ficcare il naso
negli affari miei
e non venirmi a dire
"Preferisco un poeta,
preferisco un poeta
ad un poeta sconfitto"
Ma se ci tieni tanto
puoi baciarmi ogni volta che vuoi."
Faber
"In principio l’uomo abbandonava i suoi morti.
Cinquantamila anni fa cominciò a scavare tombe.
Sulla pelle delle caverne incise i suoi timori bellissimi:
scoprì la poesia.
Per questo siamo qui,
a disperdere parole contro il cielo indifferente.
Cecilia, mia figlia, gioca coi suoi anni:
quattro ciottoli colorati.
La vita scorre tanto in fretta, César, che una sera
la guarderemo uscire verso il parco
e rientrare bellissima donna.
È così, César, la vita fugge tanto in fretta
che uno di questi giorni dovremmo cercare di dire la verità.
Per favore, che trovata.
Il maggiordomo ha ordini precisi
di chiudere la porta al passato!
Perché giovani aurei,
alla macchia dell’orrore d’America combattevano allora
per un mondo più bello.
Mortalmente feriti cadevano
più che per la mitraglia piagati dai loro sogni.
Belli, nascevano alla morte.
Mentre noi tatuavamo poesie dimenticate
su corpi dimenticati di donne dimenticate.
In balere di terza categoria cauterizzavamo la nostra malinconia
bevendo acquardente che non era Acqua Ardente.
Lenin non apprezzava i poeti:
tagliò grossolanamente una poesia di Majakovskij.
Vladimir Majakovskij si uccise.
Però Lenin si sbagliava: il Che portava nel suo zaino
versi crivellati di León Felipe
e Javier Heraud portava una tua lettera nella sua giacca.
L’impietoso fiume Madre de Dios trascinò il suo corpo,
il tuo corpo, il mio corpo, la nostra giovinezza crivellata, tutto.
Però la vita fluisce più in fretta del fiume Madre de Dios.
Impossibile erigere un mondo nuovo
senza sbarcare nelle Indie intraviste nei nostri sogni!
Una rivoluzione che è solo una rivoluzione non è una
rivoluzione.
Bisogna rovesciare tutto, bisogna bruciare tutto, bisogna sradicare tutto!
Non permettere che ritorni mai più la stessa realtà,
la stessa famiglia, la stessa acqua, gli stessi genitori, la stessa
luce, la stessa patria, lo stesso futuro, la stessa tristezza, la
stessa religione, lo stesso sole!
Chi si azzarderebbe ad assolverci?
Un’immortale poesia ci assolverebbe.
Però gli anni sono passati e non abbiamo menzionato la Parola Ignea.
La vita è tanto fugace, César, che una di queste sere
uscirai a comprare sigarette
e tornerai a raccontare barzellette alle nostre veglie funebri.
E adesso accetto l’acquavite che mi offri.
Perché malgrado la tristezza, la vita vale la pena:
sono allegro, sono albero, sono su di giri, sono
con i miei amici, sono lampo, sono luce.
Perché l’uomo che è più vicino alla sua morte
che alla sua nascita
ha bisogno urgente di essere felice.
Cinquantamila anni fa, sulla pelle delle caverne,
cominciai a incidere questa poesia.
Per questo sono qui che disperdo parole contro il cielo
indifferente."
Manuel Scorza
Ho who bends to himself a Joy
Doth the winged life destroy;
But he who kisses the Joy as it flies
Lives in Eternity’s sunrise.
Un Chimico Ermetico.
Nient'altro di ciò che non chiesi d'essere,
di ciò che desideravo.
Anatema d'Ombra
in diacronia di colore
compio l'eludibile,
rendo ipotetico l'inevitabile,
riprendo possesso
nell'abbandono.
Maledicendo giorni insonni
ho vegliato la soglia
del mio laboratorio,
imponendo cardini
a porte senza parete.
Intrecciando rabbia e ragione
ho forgiato
l'essenza stessa
delle uniche sbarre
che m'avrebbero potuto
contenere.
E adesso.
Adesso
che tento di ripristinare
il Caos tra i miei alambicchi,
dischiudendo un notturno
che è sempre stato,
soppalco d'inversi
per cieli senza soffitto;
adesso ascolto il Silenzio
nell'abbraccio del Vento,
dove i sonagli
tornano a non chiedere
più un senso.
Adesso e Non Più.
Disegno finestre kon le dita,
kon la sabbia per palko,
scenografika notte,
cielo per pulpito;
per dar sagome geometrike
a mondi informi
ke ostinatamente mi si
vogliono imporre kome realtà
sokkiudo mosaici
kon devota e abitudinaria
vokazione di mimo.
Non resta molto di kandido,
neppure il bianko di questi guanti,
e nella kaotika fuga dal pudiko
ritrovo spekulazioni
di kolore.
Detesto.
E detestando rikompongo
kandidature al sakro
vento d'Ombra,
disegnando spirali koncentrike,
tornando a dare un senso alle Ali,
rielaborando la distanza komoda
tra me
e un sottomondo ke
torna sfondo per vedute aeree.
Detesto aver avuto bisogno di me.
Per farlo.
Aggredendomi per non lacerarmi,
spekkiandomi per non vedermi.
Detesto ciò ke non ho visto.
Detesto questo squallido gioko
alla rinkorsa della paura
dove kani e karnefici
si skambiano onorifikamente di merito e ruolo,
ora latrando ed ora kacciando.
Sbirri e perifrastike d'ordine,
necessità komposte,
bisogni primari eretti
kol metallo della sbarra,
kol gelo del terrore,
kon la manipolazione del verbale,
kon lo stupro della legalità.
Detesto ki krede.
Ki non koltiva dubbi,
ki ripiega nell'inevitabile,
nel senza scelta.
Ki vorrebbe ma non può, ki potrebbe ma non vuole,
ki non riesce a volere. Ki ha potere.
Ki vuole il potere,
inkapace di elaborarlo ma perfettamente
kapace di gestirlo, elevandolo a potenza,
skavandone la radice mai quadrata,
akkontentandosi di lisciare gl'angoli
e gli squittii ke ne tintinnano i rintokki.
Detesto i dati di fatto,
detesto i konsiglieri dell'adeguamento,
della demokrazia ad ogni kosto.
Detesto i guazzabugli d'informazione,
l'immondo delirio del giornalismo.
Detesto la delega dell'odio.
Detesto gl'enigmisti di komodo.
Detesto questo paese,
ke non sarà mai nazione,
ke cerka radici ke non ha mai avuto,
ke s'aggrappa ai krocifissi kome salvagenti,
naufraghi indecenti e senza pudore,
ke benedice kattolikamente il suo kredo,
ke non ha ritmo, ke dekanta solo i morti,
ke indora il passato sapendo di non avere presente,
ke tenta di strutturare una klandestinità
per poi aver qualkosa d'abbattere.
Detesto ki sceglie di non ridikolizzarne
i deliri delle kontraddizione.
La stessa kontraddizione,
ke senza il bacio della poesia,
resta una messinscena patetika
per rissosi sottoumani;
una sopravvivenza tacita e permessa
solo in assenza di metri di paragone.
E adesso ke torno a vivere d' Acqua e Vento,
ke torno a rikordare ke non vi son katene
per ki possiede il delirio d'ala,
ridisegnando il mio sorriso
di rabbia arrogante...
Per il kalore della ribellione
ke non ha frontiere e dokumenti,
per le affinità senza il plagio della lingua,
per l'enigma d'un pensiero uniko
e mai uguale, ebbro della sua follia,
a beffa di distanze presunte,
a subornare il senso dell'illegalità
ke diventa morale e kondizione...
Regalo tutto questo al Migrante.
Ovunque sia e da ovunque venga,
fratello salvifiko,
variabile inevitabile
per kausa di fame e di guerra,
di desiderio e necessaria pretesa,
ke rende migliore questo skiokko di terra
tra mare e cielo
ke ci ostiniamo a kiamare italia.
Il Complice
“Mi crocifiggono e io devo essere la croce ed i chiodi.
Mi tendono il calice e io devo essere la cicuta.
Mi ingannano e io devo essere la menzogna,
mi bruciano e io devo essere l'inferno.
Devo lodare e ringraziare ogni istante del tempo.
Il mio nutrimento sono tutte le cose.
Il peso preciso dell'universo, l'umiliazione, il giubilo.
Devo giustificare ciò che mi ferisce.
Non importa la mia fortuna o la mia sventura.
Sono il Poeta.”
Jorge Luis Borges
Ogni passo mi rende diverso, ogni repressione più libero.
Integerrimi sessisti bastardi, inflessibili skiavi della legalità a tutela del potere, mi si son avvicinati in un torrido post-pranzo di luglio per dimostrare kome i borderline debbano tenersi lontani da certe zone residenziali. Mani ovunque, cervello in kontumacia, rivendikata arguzia palesemente konfutabile ma sotto il riskio dell'aggravante del kapo d'imputazione.
I miei konfini della bokka in delirio di movimento tra kontrazioni di denti, sedar di lingua e inarkar di sorriso. L'attenzione metodika e figlia dell'esperienza in ogni bordo d'espressione.
Adesso ho un'auto in meno e una bici in più.
L'inkoscienza beffarda di domandare al mio aguzzino da ki si sarebbe fatto riakkompagnare avesse potuto scegliere tra il parko di koloro ke mi attendevano fuori da un carillon ariakondizionato ke si ostinano a kiamare kommissariato. Pensate davvero ke non mi sia balenata per la testa l'idea ke io fossi solo l'appariscente mezzo per trasformare una giornata troppo torrida da passare in strada in un pomeriggio in kui redigere verbali inutili ma in posti refrigerati?
Non esiste libertà dove esiste stato.
Non rikonosko la legge ma solo la mia morale.
Il potere è dell'uomo per l'uomo, dell'uomo sull'uomo. Accettare la subordinazione ad una gerarkia implika la kanalizzazione della frustrazione su koloro ke si suppone essere socialmente e gerarkikamente subordinati.
Konstatare la totale mankanza di konseguenze etiko-umorali, la latitanza di sintomatologie di pentimento e rimorso, rende le bestie furiose e nell'impassibile s'accende il kalore della sovversione.
Essere intokkabile anke se non nel korpo.
Potete avere la mia patente e la mai auto, la mia fedina e il mio tempo.
Ma non potrete mai avere la sovranità sulla mia testa.
Voi siete skiavi e io ciò ke non potrete mai essere.
Non saluto, non ringrazio, non ossequio e non imploro.
Pago il prezzo di vivere nel posto sbagliato.
Per vivere da larve armate invece un posto vale l'altro.
Non mi avrete.